BREVE STORIA DELLA PALAZZINA LIBERTY

ALL'ANGOLO DI VIA MELZO CON VIA FRISI

EX SEDE DEL CINEMA DUMONT

 

 

 

Michele Sacerdoti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice

 

 

Premessa *

La zona prima della costruzione del cinema Dumont *

La costruzione del cinema Dumont *

La battaglia per il salvataggio del cinema Dumont *

Addio al cinema Dumont *

La creazione della nuova Biblioteca Venezia *

Bibliografia *

 

 

 

 

Premessa

 

Ho scritto queste note in occasione dell'inaugurazione il 7 marzo 2001 della nuova sede della Biblioteca Venezia, che è stata trasferita da uno dei Caselli di Porta Venezia nella palazzina Liberty all'angolo di via Melzo con via Paolo Frisi.

Dopo alcuni anni di chiusura la Biblioteca Venezia riapre finalmente in una nuova sede, più ampia della precedente anche se in un edificio meno prestigioso. Ma anche questo edificio ha una sua storia che vale la pena raccontare ai frequentatori della Biblioteca.

Ringrazio il dottor Gianluigi Limonta, la dottoressa Luciana De Georgio ed il personale della Biblioteca Venezia dell'opportunità che mi è stata data.

Ringrazio la signora Alessandra Galli, nipote del sig. Giuseppe Galli, costruttore del cinema Dumont nel 1910, che mi ha fornito nel febbraio 2017 una documentazione su suo nonno che ho integrato in questo documento.

 

 

La zona prima della costruzione del Cinema Dumont

 

La zona in cui sorge la Palazzina è subito all'esterno delle Mura Spagnole, vicino a Porta Orientale, ad est del Lazzaretto.

Numerosi i corsi d'acqua che la attraversano, ormai tutti coperti.

La Roggia Gerenzana prende l'acqua della Martesana e la porta ad irrigare i campi di San Giuliano Milanese di proprietà dei Marchesi Brivio Sforza. Attraversa Corso Buenos Aires all'altezza di via Boscovich, percorre tutta via Spallanzani, si infila tra le case di via Spallanzani 6 e 10 dove c'è ancora un tratto scoperto, passa per via Sirtori e Mascagni, passa sotto il giardino dell'Hotel Diana e prosegue per via Kramer. Nell'ottocento alimentava i bagni Diana, la prima piscina pubblica all'aperto di Milano.

La Roggia Acqualunga arrivava da Piazzale Loreto, percorreva via Spallanzani e proseguiva sotto Corso di Porta Venezia fino alla cerchia dei Navigli.

Il Cavo Melzi arriva da Piazzale Caiazzo, percorre via Scarlatti, via de Filippi, via Maiocchi, Piazza Otto Novembre, via Pisacane.

Il Redefossi percorreva via Vittorio Veneto e Viale Piave e costituiva il fossato delle mura spagnole.

Il Fontanile San Gregorio proveniva dalla Zona dell'attuale Stazione Centrale, costeggiava il Lazzaretto lungo via San Gregorio e Corso Buenos Aires, passava dietro le case di Piazza Oberdan e si collegava alla Roggia Gerenzana. Si veda la pianta del 1722 con il percorso dei corsi d'acqua della zona.

Questa zona ricca di corsi d'acqua rimase agricola fino al metà del 1800.

La strada principale che la attraversava era la strada maestra per Bergamo e Venezia, che partiva da Porta Orientale e seguiva il tracciato dell'attuale via Spallanzani. Successivamente assunse maggiore importanza lo stradone di Loreto che costeggiava il Lazzareto, l'attuale Corso Buenos Aires.

La prima immagine della zona è contenuta nella pianta prospettica disegnata da Nunzio Galiti nel 1578, in ringraziamento della fine della peste del 1576. La zona è sparpagliata di capannetti di legno usati per il ricovero o l'isolamento della popolazione, di fuochi distruttori di oggetti e di ricoveri infetti, di cimiteri improvvisati e cioè di "foponi dove se sepeliva li morti" come dice la didascalia, cinti di robuste steccionate.

Le uniche case segnate nelle carte del 1600 sorgevano intorno alla chiesa di Santa Francesca Romana, costruita nel 1630; le case costeggiavano via Spallanzani fino all'angolo con via Melzo.

Nella pianta eseguita da Giovanni Filippini nel 1722 è tracciata una strada che percorre l'attuale via Melzo e via Frisi in mezzo ai campi mentre nella carta disegnata nel 1734 da Marcantonio Dal Re compare a metà di via Frisi sulla destra andando verso Piazza Otto Novembre un edificio denominato Cascina Stretta.

Nella pianta del 1817 di Antonio Tua ed in quella del 1825 del libraio Sasso la zona è adibita a Pubblici Magazzini, con un vasto riquadro sul lato sinistro della Roggia Gerenzana tra via Spallanzani e l'attuale via Malpighi. Nel 1856 vi è ancora una Pesa Pubblica lungo via Spallanzani tra le attuali viale Regina Giovanna e via Melzo.

Come si vede nelle piante a partire dalla metà del 1700 Milano città comincia ad espandersi oltre le mura spagnole. Sotto Maria Teresa d'Austria sono rilevate le prime mappe catastali (1722) e vengono costituiti i Corpi Santi, come zona amministrativa separata dalla città. I Corpi Santi circondano ad anello la città e sono divisi in sei distinte porzioni: Porta Comasina, Porta Nuova, Porta Orientale, Porta Romana, Porta Ticinese, Porta Vercellina. I Corpi Santi di Porta Orientale andavano dallo stradone di Loreto, odierno Corso Buenos Aires, fino a Porta Tosa (attuale Porta Vittoria).

A partire dal 1782 i Corpi Santi diventano un solo comune, divisi in sei frazioni e questa situazione rimane fino all'ingresso della Lombardia nel Regno d'Italia. Con l'unità d'Italia Milano viene divisa in otto mandamenti, sei all'interno delle mura spagnole e due all'esterno. Porta Orientale diventa parte del settimo mandamento insieme a Porta Comasina, Porta Nuova e Porta Romana e ne costituisce il 5° riparto, compreso tra le attuali via Melchiorre Gioia e Corso Indipendenza..

Se prima i Corpi Santi erano stati la principale fonte di approvvigionamento agricolo della città, durante la prima metà del 1800 si erano trasformati in un comune popoloso, il secondo della Lombardia: 45.519 abitanti nel 1859 con un incremento tra il 1815 ed il 1863 di ben 40.570 abitanti. Uno dei poli principali era lo stradone di Loreto, lungo il quale erano insediati 3.004 dei 4.909 abitanti del 5° riparto.

Nel 1864 viene inaugurata la Stazione Centrale, fuori dai Bastioni di Porta Nuova nell'attuale Piazza della Repubblica all'altezza di viale Tunisia. La realizzazione del viadotto ferroviario lungo gli attuali viali Tunisia e Regina Giovanna diede l'avvio ad un processo di lottizzazione, ben rilevabile nelle diverse edizioni della pianta di Milano, pubblicata dalla Giunta Municipale per la prima volta nel 1878, e successivamente del '79, '81 e '84. Nel 1872 il Comune dei Corpi Santi contava 262.000 abitanti ed era uno dei maggiori centri industriali italiani. Si capisce l'interesse della Città ad annettersi il comune e l'ostinata opposizione degli abitanti che avrebbero perso, oltre l'autonomia, consistenti vantaggi fiscali. L'aggregazione forzosa avvenne nel 1873.

Nella zona della Palazzina Liberty, nel quadrilatero compreso tra Piazza Oberdan, via Spallanzani, via Melzo, via Lambro e Mascagni, accanto ai Bagni di Diana, fu costruito nel 1861 lo stabilimento della Società Anonima Omnibus e Tramways, che gestiva la prima linea di tram a cavalli tra Milano e Monza inaugurata nel 1876 e la rete dei tramway di Milano. La prima linea collegava Porta Venezia con Porta Romana. La società gestiva anche il servizio funerali. Nel 1896 vi erano 10 scuderie per un totale di 580 cavalli, magazzini, rimesse, infermerie, tettoie. Dallo stabilimento uscivano le rotaie che andavano in Piazza Oberdan e da lì in Corso Buenos Aires. Lo stabilimento era attraversato dalla Roggia Gerenzana che fu deviata appositamente. Al posto della Palazzina vi era la maniscalchia (numero 18 della mappa della SAOM).

Alla fine del secolo i tram furono elettrificati e lo stabilimento demolito per fare spazio a via Malpighi, via Sirtori e via Mascagni ed alle case che le costeggiano. Il primo tratto di via Melzo tra via Spallanzani e l'inizio di via Frisi fu allargato e fu costruito l'edificio di via Spallanzani 10 angolo via Melzo 23.

Rimangono ancora tre delle scuderie da 44 cavalli ciascuna, una quasi intatta in via Sirtori 32 con il piano terreno con colonne in pietra e la copertura del fienile a capriate lignee, utilizzata dalla società Roland Berger e due in via Sirtori 26, molto modificate perché trasformate in fabbrica del ghiaccio, utilizzate dal negozio Ramef (numero 11 della mappa della SAOM).

Tra il 1880 ed il 1910 tutta la zona tra la ferrovia ed i bastioni fu progressivamente costruita sulla base del piano regolatore studiato da Cesare Beruto nel 1884. La prima casa costruita sulla sinistra di via Frisi è il numero civico 3 che compare nella carta disegnata da E. Bignami Sormani nel 1884.

 

 

La costruzione del Cinema Dumont

 

Nel 1908 i fratelli Galli, proprietari dell'area, iniziano la costruzione di un Cinematografo in via Paolo Frisi 8. La numerazione della strada comprendeva allora il primo tratto di via Melzo. Poi divenne via Frisi 2.

Giuseppe Galli nacque il 24 giugno 1876 a Milano da Luigi Galli e Carolina Ventura. Musicista e professore di musica studiò al Regio Conservatorio di Musica di Milano seguito dal professore Gaetano Falda. Ricevette il Diploma di Licenza e Magistero il 7 luglio 1896 con cui venne “abilitato all’insegnamento della tromba nelle Scuole pubbliche del Regno”. Suonò la tromba sotto il direttore d'orchestra maestro Arturo Toscanini e con il primo violino maestro Ariodante Coggi, amico e compagno di studi al Conservatorio di Milano. Coggi e Galli avevano un amico in comune, Attilio Invernizio, pittore, scenografo al Teatro della Scala di Milano. Quando Invernizio era in difficoltà economiche Galli e Coggi acquistavano i suoi acquarelli. Spesso la sera si trovavano a bere tutti insieme e il figlio di Galli si ricorda ancora di un acquarello di Invernizio, andato perduto, con raffigurati Galli e Coggi su un carretto con un fiaschetto in mano e gli spartiti musicali che volavano via al loro passaggio!

Nel 1908 Giuseppe Galli e il fratello Alfredo fecero costruire un Cinematografo a Milano su di un terreno di proprietà, in via Paolo Frisi 8, angolo via Melzo. Il terreno su cui già insisteva un edificio, un osteria e al piano superiore un’abitazione, fu acquistato dal loro padre Luigi Galli (fittabile, lavorava per il Conte Alessandro Durini), nel 1883 dalla Contessa Guglielmina Durini. Si trattava di un terreno con annesso fabbricato denominato “Il Cassinello” nel circondario esterno di Milano, fuori Porta Venezia. L’idea di aprire un cinema nacque quando Giuseppe Galli comprò una vecchia “lumière” a manovella e iniziò a proiettare film muti suonando il pianoforte nell’osteria di proprietà “al Cassinello”.

Il cinema fu completato nel 1910, data a cui risale l'autorizzazione all'apertura. Era uno dei primi cinematografi di Milano costruiti appositamente per questa destinazione. Gli autori del progetto sono gli architetti Ferdinando Tettamanzi e Giovanni Mainetti, con studio in via Filodrammatici 3. Il progetto è conservato presso il fondo "Ornato Fabbriche" dell'Archivio Storico Civico al Castello Sforzesco di Milano. Nel progetto vi sono le facciate su via Melzo, Frisi e d'angolo, la pianta, la sezione interna.

Mainetti costruì successivamente un edificio liberty in via Barozzi 2. Lo stile liberty riprende quello seguito dall'architetto G.B. Bossi che aveva costruito nel 1905 i palazzi di via Malpighi 12 (Casa Guazzoni), dall'altra parte di via Melzo, e di via Malpighi 3 (Casa Galimberti).

Il cinematografo era costituito da una sala d'aspetto in 5 campate, di una sala cinematografica in 14 campate, di una bouffetteria (bar) in 1 campata e di una cabina di proiezione al primo piano. Il pavimento era di legno, i posti a sedere 516 su 20 file di sedili. La decorazione della facciata principale corrisponde fedelmente al progetto mentre la facciata su via Melzo non fu decorata. Sul frontespizio vi era la scritta CINEMATOGRAFO, poi cancellata.

Lo spazio occupato dalla Biblioteca Venezia corrisponde all'atrio del cinema mentre la sala, il cortile su via Melzo ed una attigua costruzione su due piani dove abitava la famiglia Galli sono stati demoliti e sostituiti dall'attuale parcheggio multipiano.

Le colonnine centrali della biblioteca sono originali. Sulla parete di fondo si aprivano tre porte di ingresso alla sala. Dove c'è ora l'ingresso del parcheggio c'era un cancello di accesso ad un piccolo cortile.

Il cinematografo assunse il nome di Cinema Dumont e fu utilizzato fino al 1932. Inizialmente era un cinema di buon livello, poi decadde progressivamente. Sul libro I Cinematografi di Milano di Alberto Lorenzi (Mursia, 1970) si può leggere una bella descrizione del pubblico del Dumont negli ultimi anni.

"Al Dumont entravan giovinotti poverissimi, dal naturale, oltre a tutto, incredibilmente facinoroso, "lokk" veri e propri, dalle intenzioni prave: ciampicavano apposta all'entrata, facendo rimbombar tutta la sala, correvano sul pavimento di legno sollevando rumore di tuono, sbatacchioni di prima forza coi sedili ribaltabili, pronti all'entusiasmo più fragoroso durante certe disgraziatamente movimentate sequenze di film, e alla scena del bacio a fare salacissimi commenti, a sbeffeggiar gli amorosi con imitazioni di miagolii di gatti, con voci nasine. C'era da giurare che andassero al Dumont soltanto per il gusto di provocare un fracasso d'inferno, diavoli scatenati com'erano. Si avvertiva l'odore di zolfo dei loro fiammiferi di legno mentre accendevano sigarette popolari il cui fumo poi s'avvolgeva nel fascio di luce della macchina di proiezione, chè i "lokk", difatti, disubbidivano regolarmente all'ammonizione, illuminata in rosso nella penombra: "Vietato fumare", che si alternava al Dumont con quest'altra: "Vietato sputare".

Fra l'altro intendevan prima rifocillarsi, tenersi in forma con cibi nutrienti (ad esempio carrube): e vitamine.

Si recavano al cinema portando provviste: eran divoratori voraci di "straccadent", detti altrimenti "staccaganass" (dolci durissimi), avevan le tasche gonfie di arance. S'udiva a un tratto un gradevolissimo profumo d'arancia: subito dopo una buccia d'arancia vi arrivava in pieno viso, lanciata come distrattamente. Mentre si trovava posto procedendo a fatica tra una fila e l'altra di poltroncine, scricchiolavan sotto le scarpe gusci di noci e di caldarroste con un rumore di foglie secche su uno stretto sentieruolo di campagna.

Gli spettatori davanti raccoglievan accuratamente nelle palme della mano duri semi di carrube - o, nella stagione propizia, noccioli di ciliegie, - per poi lanciarli a grandine sulla nuca del pianista che stava eseguendo musiche romantiche come la "Serenata Toselli" o la "Prière d'une vierge".

Ad ogni rappresentazione un litigio era immancabile, una rissa con ben consenzienti vicini; scintillavan nella penombra sclerotiche d'occhiacci biechi, s'udivano assordanti parolacce e suon di man con elle, orrende voci perturbatrici si levavano a commento, lo spettacolo prendeva sempre spiacevoli pieghe, decisamente tendeva al rovinoso; interveniva la "maschera", scelta tra nerboruti tipi di ex boxeurs, ad afferrar, ricordando Maciste, per la collottola i litiganti, estrarli dalle dondolanti poltroncine e cacciarli fuori con maniere adeguate all'evento, e a quei ribaldi."

Un altro ricordo di quegli anni mi è stato fornito da una signora che abitava da piccola in via Frisi 3.

Si ricordava che l'operatore della macchina di proiezione usciva spesso sul tetto del cinema per prendere il fresco e conversare con le ragazze del palazzo di fronte.

Il gestore del cinema, come segnalatomi dalla figlia e dalla nipote nel 2014, fu dal 1920 al 1921 il sig. Giovanni Rovida. Successivamente fu gestito da Mauro Rota, storico gestore di cinema milanesi.

Il 16 agosto 1930 Giuseppe Galli morì improvvisamente a causa di problemi polmonari al Sanatorio di Sondalo. Nel 1932 il cinema venne chiuso e il locale affittato ad un Autosalone. L’immobile fu venduto successivamente da Giuditta Macchi, moglie di Giuseppe, e dal figlio e unico erede Franco Galli nel 1957.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale toccano poco il quartiere, viene distrutto solo un edificio di via Lambro, l'ex cinema Majestic.

Dopo la guerra il cinema Dumont viene trasformato in autosalone e successivamente in sede dell'Autoambulanza Croce Santa Rita. Il salone del cinema diventa il garage delle autoambulanze con uscita su via Frisi mentre l'atrio diventa sede degli uffici. Nel cortiletto viene costruita un'auto-officina.

Si veda una foto della Palazzina come era allora.

Nella piazza antistante il Comune, in seguito a petizioni degli abitanti, crea nel 1986 una piccola aiuola triangolare disegnata dall'arch. Cappucci, allora all'Ufficio Arredo Urbano. Nell'aiuola vengono piantate una betulla, una magnolia, alcuni lauri e forsizie. Intorno viene creata una recinzione per impedire l'accesso ai cani.

 

 

La battaglia per il salvataggio del Cinema Dumont

 

Il piano regolatore del 1953 prevede la totale demolizione della palazzina insieme ad altre case del quartiere per costruire una strada di collegamento tra via Pancaldo e Piazza Oberdan. Per fortuna il piano non viene realizzato perché avrebbe sventrato il quartiere ed eliminato importanti edifici liberty della zona. Nel 1978 l'edificio viene inserito in un piano di edilizia economico-popolare (legge 167) e ne viene ordinata la demolizione, insieme alla piccola casa a due piani contigua.

Il proprietario, la società Nisporto Quarta con amministratore l'ing. Piero Ferrario, per evitare l'esproprio e la demolizione, fa domanda di vincolo delle facciate della palazzina alla Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali, sulla base della legge 1089/39. Il Ministero concede il vincolo nel 1977 ma lo limita alla facciata d'angolo e quella su via Melzo.

Il proprietario discute con il Comune su una possibile destinazione dell'edificio. L'incarico di seguire la pratica e di progettare la trasformazione del cinema viene assegnato all'arch. Demetrio Costantino, allora Presidente dell'Ordine degli Architetti di Milano e Presidente dell'Istituto delle Case Popolari. Vengono proposte tre alternative per la sala del cinema: mensa privata, laboratorio di analisi mediche nucleari, parcheggio di box per residenti. Per l'atrio si pensa invece ad una cessione al Comune come previsto dalla Legge sui Piani di Recupero. L'area viene quindi inserita nel nuovo piano regolatore del 1983 come soggetta a Piano di Recupero. Il Comune ritiene opportuno scegliere l'alternativa dei box per residenti, vista la carenza di posti auto nella zona e la mancanza di box nei palazzi d'epoca.

Gli uffici comunali disegnano una planimetria di massima del nuovo edificio, lasciando invariato l'atrio e le facciate e prevedendo la demolizione completa della sala e la costruzione di un autosilo (145 box) con un profilo che sale a scaletta fino all'altezza delle case limitrofe di via Frisi 6 e via Melzo 24. In tal modo i frontespizi ciechi dei due edifici, giudicati antiestetici, vengono coperti dalla nuova costruzione. La facciata originale su via Frisi viene così proseguita verso l'alto. Viene demolita completamente la piccola casa a due piani posta dietro il cinema e l'auto-officina. L'atrio del cinema viene ceduto al Comune per funzioni di servizio pubblico, per un totale di 330 mq su due piani.

Il piano salva quindi solo l'atrio e le facciate del Cinema Dumont mentre sacrifica la sala e quindi il complesso dell'edificio viene irrimediabilmente perduto.

Il Consiglio Comunale adotta il piano di recupero il 26 marzo 1985; purtroppo nessun abitante del quartiere viene informato della pubblicazione avvenuta nel mese di luglio e quindi non vengono presentate osservazioni o opposizioni. Pertanto la giunta comunale lo approva definitivamente l'8 ottobre 1985.

L'arch. Costantino prepara il progetto che prevede per l'autosilo una facciata di alluminio per distinguerlo da quelle in muratura del cinematografo e lo presenta in Sovrintendenza che lo approva il 14.10.1985. Il progetto viene successivamente presentato in Comune insieme alla richiesta di demolizione delle porzioni di fabbricato non soggette a vincolo, cioè la sala del cinema trasformata in ricovero delle autoambulanze, l'auto-officina contigua e l'interno dell'atrio.

Gli abitanti del quartiere vengono a sapere casualmente del progetto in seguito ad un sopralluogo dei vigili urbani nel maggio 1986. Scoprono che l'autoambulanza Croce Santa Rita e l'auto-officina hanno avuto lo sfratto esecutivo e prendono visione del Piano di Recupero in Comune. Rimangono allibiti per l'aumento di volumetria previsto, con il risultato che dalla la facciata liberty sarà schiacciata da una allucinante struttura di alluminio a gradoni alta 17 metri.

Viene costituito il Comitato Cittadini delle vie Frisi e Melzo con l'obiettivo di bloccare il progetto e salvare dalla demolizione il cinema nella sua interezza. Il Comitato lancia subito una raccolta di firme nel quartiere per chiedere al Consiglio di Zona 3, agli Assessori all'Edilizia e Urbanistica e al sovrintendente Costanza Fattori di non autorizzare la demolizione parziale ed il progetto di costruzione dell'autosilo, di modificare il piano di recupero ed estendere il vincolo monumentale a tutto l'edificio, in quanto il vincolo sulle sole facciate è privo di senso. La lettera raccoglie 113 firme e viene inviata ai destinatari il 20 maggio 1986.

Il Consiglio di Zona 3 accoglie l'appello e respinge l'autorizzazione di demolizione ed il progetto di costruzione, con una forte dichiarazione critica. La notizia viene pubblicata con grande evidenza sul Corriere della Sera del 25 maggio 1986, seguita da una risposta dell'arch. Costantino che difende il suo progetto, sostenendo che l'unica parte della palazzina Liberty che deve essere conservata è l'atrio e le facciate e che la sala è stata sostituita da un capannone costruito successivamente.

Intervengono a sostegno degli abitanti la sezione di Italia Nostra di Milano, allegando un parere della Prof. Bossaglia, studiosa dello stile Liberty, ed i docenti del Dipartimento Conservazione delle Risorse Architettoniche e Ambientali della facoltà di Architettura di Milano, diretto dai Prof. Bellini e Dezzi Bardeschi.

L'Assessore all'Edilizia Venegoni ottiene la diminuzione di un piano fuori terra (da 5 a 4) , compensata da un piano in più nel sotterraneo (da 2 a 3). La Commissione Edilizia, dopo un sopralluogo ed un forte dibattito, approva il progetto con numerose astensioni il 3/7/1986. La Commissione Urbanistica Consigliare, chiamata a decidere tra il parere negativo del Consiglio di Zona ed il parere positivo della Commissione Edilizia, approva il progetto il 18 luglio.

Il 1 ottobre 1986 il Comune firma la Convenzione con la società Nisporto Quarta per la cessione dell'atrio dell'ex-cinema. La concessione edilizia viene rilasciata il 6 maggio 1987. Il Comitato Cittadini ribadisce il proprio parere negativo e prosegue la battaglia.

Viste le difficoltà frapposte dal Sovrintendente di Milano per estendere il vincolo a tutto l'edificio il Comitato si rivolge direttamente al Ministero dei Beni Culturali a Roma. Questo decide di preparare il nuovo vincolo direttamente a Roma e affida l'incarico all'arch. Secchi Tarugi dell'Ispettorato Centrale.

Nel frattempo un ricorso al TAR contro l'autorizzazione alla demolizione fallisce e la società Nisporto Quarta inizia la demolizione della palazzina il 13 marzo 1987. Il Comitato chiede al Ministero di sospendere la demolizione in attesa della formalizzazione del nuovo vincolo.

Il 15 maggio arriva a Milano l'arch. Secchi Tarugi per un sopralluogo del cantiere e ribadisce al Sovrintendente ed al progettista l'opposizione del Ministero al progetto. I proprietari accelerano la demolizione della sala del cinema in attesa della lettera della Sovrintendenza che sospende i lavori. Il Comitato è quindi costretto a rivolgersi al Pretore Penale che ordina il sequestro penale del cantiere il 30 maggio, in attesa del nuovo vincolo.

Il 26 luglio il Ministero emette il nuovo vincolo su atrio e sala del cinema e un vincolo di rispetto sull'area contigua di via Frisi 4. Il proprietario fa immediatamente ricorso al TAR contro il nuovo vincolo e lo vince per difetto di motivazioni il 17.2.1988. Nel frattempo l'edificio viene dissequestrato ma rimane abbandonato e non ben recintato. Il tetto è parzialmente demolito, si infilano tossicodipendenti ed extra-comunitari che bivaccano all'interno.

Il 22 febbraio il proprietario riprende i lavori di demolizione ma il Ministero ordina la sospensione dei lavori in attesa di un nuovo vincolo, meglio motivato.

Il 16 maggio 1988 il Ministero emette un vincolo estremamente completo e motivato di tre pagine che rende impossibile la costruzione dell'autosilo in quanto vieta di suddividere la sala in piani intermedi. La società Nisporto Quarta fa ovviamente subito ricorso al Tar contro il nuovo vincolo, appoggiata dal Comune che giustifica il suo intervento con l'interesse nell'atrio dell'ex-cinema, che verrà ceduto al termine della costruzione.

Il Comitato si attiva per trovare delle soluzioni alternative all'autosilo e propone al Comune di acquisire l'area e ricostruire il cinema per ospitare la Cineteca Italiana, allora senza sede. La Cineteca ha tra l'altro nei suoi archivi numerose locandine originali del Cinema Dumont che speriamo di mostrare nella nuova Biblioteca.

Con una nuova petizione 119 abitanti chiedono il 27.9.88 al Comune di acquistare l'intera area, di ritirare il ricorso al TAR e impedire l'accesso al cantiere a drogati ed estranei. Anche il Consiglio di Zona 3 esprime il suo dissenso contro il ricorso al TAR. Il Comune avvia una trattativa per l'acuito dell'area ma la sospende subito per l'elevato costo richiesto (circa 4 miliardi).

Il Comune e la Nisporto Quarta perdono a fine del 1989 i ricorsi al TAR contro il vincolo e ricorrono al Consiglio di Stato.

Nel 1990 il Comitato Cittadini coinvolge Sotheby's che stava cercando una nuova sede per le aste a Milano; l'ing. Paolo Viola, che abita in zona, prepara un pregevole progetto che ripristina l'intero cinema e utilizza l'atrio come hall, la sala come sala d'asta, il cortile per il carico e scarico e la zona della casa retrostante per uffici. Nel sotterraneo sono previsti due piani di parcheggio e sul tetto un giardino pensile. L'interno della sala viene restaurato con le decorazioni previste nel progetto originario (vedi pianta e facciata su via Frisi). Purtroppo alcune aste di Sotheby's in Inghilterra vanno male e la casa d'aste non ha i fondi per acquistare l'area e realizzare i progetti. Decide quindi di trasferirsi in via Broggi in un edificio affittato.

Anche il ricorso al Consiglio di Stato della Nisporto Quarta viene respinto mentre per quello del Comune il tribunale chiede delle delucidazioni. Viste i lunghi tempi del processo il 10 febbraio 1992 viene fatta una nuova raccolta di firme nel quartiere: circa 1000 abitanti chiedono la recinzione del cantiere, l'acquisto dell'area da parte del Comune o la ricerca di altri acquirenti o un diverso utilizzo della Palazzina da parte del proprietario in modo compatibile con il vincolo.

 

 

Addio al Cinema Dumont

 

Nel frattempo la proprietà rifiuta le proposte di vendita dell'immobile ma non sta con le mani in mano.

Presenta in Sovrintendenza un nuovo progetto di autosilo con un volume più ridotto e ottiene che il Sovrintendente pro-tempore succeduto all'arch. Costanza Fattori proponga al Ministero un nuovo vincolo, ottenuto togliendo alcune frasi dal precedente in modo da poter realizzare il progetto. L'ispettorato del Ministero viene scavalcato e il sottosegretario ai Beni Culturali Astori firma il vincolo proposto il 21 aprile 1992.

I difensori del cinema Dumont sono sconfitti ma anche questo vincolo viene impugnato al TAR dalla Nisporto Quarta, nel timore che alcune frasi possano ancora impedire la realizzazione dell'autosilo.

Il Comitato tenta di limitare i danni e ottiene che il progetto rispetti effettivamente il nuovo vincolo. Non viene concesso nessun sopralzo rispetto al tetto della sala dell'ex-cinema e non viene autorizzata la sosta delle auto sul tetto. La struttura in alluminio viene sostituita da pareti in muratura con infissi in ferro nero e non anodizzato. Le colonnine dell'atrio vengono salvate. Viene creato un quarto piano sotterraneo per recuperare i box persi al terzo e quarto piano.

Rimane il problema della rampa all'aperto per le auto tra il terzo ed il quarto piano che potrebbe essere eliminata togliendo i 6 box del quarto piano. In tal modo non vi sarebbero rischi di inquinamento e rumore alle case vicine quando le auto salgono all'ultimo piano.

Il 19 luglio 1993 la Sovrintendenza approva il nuovo progetto ed il cantiere viene riaperto. Viene completata la demolizione della sala dell'ex-cinema e iniziano gli scavi dei piani sotterranei.

A fine 1993 il Comune perde anche il suo ricorso al Consiglio di Stato, a dimostrazione del fatto che il Ministero non avrebbe avuto bisogno di cambiare il vincolo. Ma ormai il danno è fatto.

Il nuovo progetto viene presentato in Comune solo a scavi ultimati il 20 giugno 1994, come variante in corso d'opera. Il Comune vuole esaminare anch'esso il progetto e ingiunge di fermare i lavori fino all'approvazione della variante. Il Consiglio di Zona 3 esamina il progetto nel novembre 1994, individua numerose violazioni al regolamento edilizio relativamente alle distanze dagli edifici vicini e chiede che l'ultimo piano dei box non venga costruito, realizzando invece un giardino pensile sul tetto. I lavori proseguono a ritmo serrato in previsione di una sospensione dei lavori che avviene il primo giugno, quando i pilastri del quarto piano sono già stati costruiti.

Gli uffici tecnici comunali tuttavia danno parere positivo al progetto sulla base dell'asseverazione dell'arch. Costantino e la Commissione Edilizia lo approva con tre voti negativi, ignorando il parere del Consiglio di Zona 3.

L'assessore all'edilizia Serri a fine luglio revoca la sospensiva, sulla base di una dichiarazione della proprietà che si impegna a non vendere i box all'ultimo piano e di lasciarlo in parte scoperto in attesa di un accordo con il Consiglio di Zona entro il mese di ottobre. L'accordo non viene raggiunto, l'area che doveva rimanere a cielo aperto viene in parte chiusa e la proprietà propone di nascondere il passaggio delle auto sul tetto con delle piante.

I lavori sull'autosilo vengono ultimati a marzo 1996 mentre rimane sospeso il completamento della parte ceduta al Comune, in funzione del suo utilizzo.

 

 

La creazione della nuova Biblioteca Venezia

 

Il Consiglio di Zona 3 propone nel 1995 la creazione nella Palazzina di un Centro Territoriale Sociale, di cui la zona è priva. Successivamente ci si rende conto che lo spazio è troppo limitato per le attività di un CTS, in quanto si può utilizzare una superficie di soli 326 mq su due piani. Il progetto approvato dalla Sovrintendenza prevede al piano terreno una grande sala con le due colonnine originali di ghisa a vista, una scala nell'angolo destro con ascensore, al primo piano due bagni ed uno spazio vuoto con balconata per l'affaccio sul piano terreno intorno alle colonnine.

Come consigliere di Zona 3 ed abitante nella zona propongo di ospitare un museo di mobili Liberty raccogliendo tutti quelli presenti in uffici e musei del Comune. Questa idea viene scartata per motivi di sicurezza. Poi propongo una biblioteca del Liberty, ma anche questa soluzione è di difficile realizzazione essendo i libri in dotazione ad altre biblioteche. Alla fine il Dott. Salsi, direttore della Civica Raccolta Bertarelli mi presenta il Dott.Limonta, direttore delle Biblioteche Rionali, che sta cercando una nuova sede per la Biblioteca Venezia, sfrattata da uno dei Caselli di Piazza Oberdan in seguito ai necessari lavori di restauro.

Il Dott. Limonta visita i locali in fase di approntamento il 12 dicembre 1997 e rimane entusiasta dell'idea. Propone immediatamente un progetto di massima con al piano terreno gli scaffali per i libri ed al primo piano una sala di lettura con postazioni audiovisive ed un piccolo ambiente per il personale.

L'8 gennaio 1998 si tiene in Consiglio di Zona una riunione della Commissione Demanio alla presenza di vari consiglieri, del Dott. Limonta, del Dott. Salsi e dell'Arch. Costantino. L'arch. Costantino propone di creare un centro di studi sull'arte liberty a Milano, non reputando sufficientemente ampi i nuovi locali per una biblioteca. Alcuni consiglieri propongono un centro sociale o un centro anziani. Il Dott. Limonta sostiene l'ipotesi della biblioteca rionale in quanto vicina alla vecchia sede, con un facile collegamento con mezzi pubblici, spazi triplicati rispetto alla vecchia sede (da 60 a 200 mq) ed una possibile dotazione libraria di 8.000 volumi, 35 posti a sedere utilizzabili per manifestazioni culturali, la possibilità di specializzare la dotazione libraria sullo stile liberty che caratterizza la zona.

Il Consiglio di Zona approva il 12 febbraio 1998 l'ubicazione della Biblioteca Venezia nella Palazzina Liberty, ipotizzando che se in futuro si trovasse una sede più grande per la biblioteca si potrebbe estendere il centro di documentazione del Liberty a tutto lo spazio disponibile.

I lavori eseguiti dalla Società Nisporto Quarta in base alla convenzione firmata con il Comune vengono seguiti dall'arch. Varesi del Settore Edilizia Comunale. La Dottoressa Jahier, direttore del Settore Cultura, sovrintende a tutti i problemi legati alla presa in carico ed alla creazione della Biblioteca. L'Assessore alla Cultura Carrubba dà il suo sostegno al progetto dopo un sopralluogo.

Per valorizzare l'ambiente della Palazzina viene dato l'incarico all'arch. Alessandra Favero di preparare un progetto di massima di arredo interno che viene consegnato nel luglio 1999 (vedi tavola 1 e 2). Successivamente vengono completati i lavori ed acquistati alcuni mobili. L'inaugurazione, prevista già per fine 1999, slitta a fine del 2000 in seguito alla mancanza del personale ed a problemi di bilancio per l'acquisto degli arredi previsti dal progetto, che viene comunque realizzato solo in parte.

Alla fine del 2000 arriva il personale addetto che inizia a mettere ordine ed a catalogare i libri, la Dottoressa De Georgio viene nominata responsabile della Biblioteca Venezia. Vengono recuperati in parte i volumi della vecchia biblioteca Venezia e ne vengono acquistati di nuovi, con una sezione dedicata specificatamente al Liberty, l'apertura al pubblico viene decisa per il marzo 2001.

La Professoressa Rossana Bossaglia promette di lasciare in eredità la sua biblioteca personale specializzata sul liberty alla Biblioteca Venezia, la Cineteca Italiana si impegna a ritrovare nei suoi archivi alcune locandine del Cinema Dumont da esporre nella Biblioteca.

E' in fase di costituzione l'Associazione degli Amici della Biblioteca Venezia per sostenerne le iniziative culturali.

Gli abitanti del quartiere sono tutti entusiasti dell'apertura della Biblioteca per rivitalizzare la zona e dare un servizio culturale utile ai cittadini di Milano. Rimane l'amarezza per non essere riusciti a salvare l'ex-cinema Dumont nella sua interezza. Milano si è dimostrata ancora una volta più sensibile agli interessi economici e delle auto che a quelli della cultura. Per i box si poteva trovare una sede più adatta che in una sala di un cinema liberty! Tra l'altro una parte è ancora invenduta a causa dei prezzi elevati.

 

Bibliografia

 

Milano Tecnica dal 1859 al 1884, Hoepli, Milano, 1885 (Ristampa a cura delle Edizioni L’Archivolto, 1988).

Giorgio Fiorese (a cura di), Milano Zona Due, Comune di Milano, Milano, 1982.

Lucio Gambi, Maria Cristina Gozzoli, Milano, Laterza, Bari, 1982.

Alberto Lorenzi, I Cinematografi di Milano, Mursia, Milano, 1970.

Marco Ferrari, Willy Salveghi, Cinema Dumont, sito http://www.giusepperausa.it/cinema_dumont.html con i manifesti dei film proiettati tra il 1920 e il 1930 (fonte Cineteca Italiana)

 

L'immagine del frontespizio è tratta dal progetto originale conservato nel fondo "Ornato Fabbriche" dell'Archivio Storico Civico al Castello Sforzesco di Milano.

Alcune informazioni sugli edifici e la storia della Zona 3 e sulle delibere del Consiglio di Zona 3 relative alla Palazzina Liberty sono presenti su questo sito.

E' disponibile presso l'autore un archivio contenente molti documenti relativi alla storia della Palazzina: articoli di giornale, vincoli, ricorsi, sentenze, lettere, progetti, raccolte di firme, delibere comunali, documenti del Comune, fotografie ecc.

Eventuali richieste di informazioni e documenti possono essere rivolte all'autore all'indirizzo internet m.sacerdoti@tiscali.it.

 

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