Da La Repubblica di lunedì 19 aprile 2004

 

LA CITTÀ BRUTTA NON È SOLTANTO COLPA NOSTRA

DANIELA VOLPI

Presidente dell´Ordine degli architetti della Provincia di Milano

 

Caro direttore, nell´uovo di Pasqua degli architetti quest´anno c´erano i titoli dei giornali. «Brutte case, puniti gli architetti». Poi i comunicati stampa del Comune che annunciavano l´organizzazione di «corsi di estetica». asserendo di «voler favorire un processo di educazione al bello» perché, si dice, «ci siamo trovati di fronte a pessimi progetti che deprimono la città e dunque all´evidente esigenza di una formazione adeguata dei professionisti».

E poi la commissione edilizia che di fronte a tanto scempio invoca l´applicazione del piano paesistico regionale, già approvato peraltro fin dal marzo 2002 e mai preso in considerazione dall´amministrazione comunale fino al 3 novembre dello scorso anno.

Ci piacerebbe che tutti facessero una pausa di riflessione.

Per ricordare che la legge 15 e la 22 non l´hanno voluta gli architetti ma gli stessi amministratori. e i legislatori regionali che hanno interpretato il loro potere di legiferare in materia di territorio aprendo prospettive preoccupanti in vista della nuova stagione legislativa iniziata con le modifiche apportate al titolo V della Costituzione.

Per ripensare alle motivazioni di «contenere il consumo di territorio», che dietro un quadro normativo apparentemente corretto nella legge 15 e manomesso nella 22, altro non erano che un paravento per la speculazione.

Per capire che il condono, che la Lombardia non ha saputo o non ha voluto contrastare, ha fatto il resto e che è troppo facile oggi accusare gli architetti di tutte le nefandezze che vediamo nelle nostre città, come se solo gli architetti, e non i geometri, i periti, gli ingeneri, i costruttori e i proprietari di sottotetti, avessero il potere di mettere le mani sulla città in modo irreparabile senza ostacoli e senza freni.

Solo dopo che, come scrive Beltrami Gadola, i buoi sono scappati, il Comune si accorge del disastro e corre ai ripari chiedendo, dopo otto mesi di indifferenza, l´applicazione del piano paesistico e si arroga la facoltà di «insegnare agli architetti il bello»?

Ferma restando la piena autonomia dei Comuni, d´intesa con le Regioni, di programmare e disciplinare le trasformazioni sul territorio in relazione alle diverse esigenze locali, ambientali, economiche e produttive, vorremmo che ferma restasse anche la piena autonomia delle facoltà di architettura all´insegnamento dell´architettura, vorremmo che ognuno facesse il suo mestiere, come ci disse una volta Gianni Verga quando gli proponemmo la nostra collaborazione per stendere i bandi dei concorsi di progettazione.

Vorremmo che la formazione il Comune la facesse per insegnare ai suoi funzionari ad esprimersi in modo univoco e non discrezionale sui regolamenti che lo stesso Comune emana.

Vorremmo che si preoccupasse di far rispettare le regole, senza aspettare i condoni e senza «inventare» leggi come la 22, invitando così la lepre a correre.

Vorremmo che si impegnasse davvero a formare una commissione edilizia che invece di «dodici guru» sia composta da dodici eccellenti esperti di provata fama, di riconosciuta autorevolezza disciplinare e specifica competenza, a supporto dell´attività di progettazione e di controllo del coordinamento architettonico e ambientale.

Perché se è vero che la maggior parte delle commissioni edilizie si occupa in modo eterogeneo e confuso tanto di conformità alle norme quanto di giudizi sui progetti, se è vero che le Dia non prevedono il passaggio in commissione edilizia e che la mancanza di strumenti normati sui criteri di indirizzo nella valutazione della qualità del progetto rende troppo spesso il giudizio discrezionale, è anche vero che le commissioni edilizie sono l´unico strumento che abbiamo oggi a disposizione per poter indirizzare il progetto alla migliore qualità.

Vorremmo che ognuno svolgesse al meglio i suoi compiti: che gli amministratori amministrassero, gli insegnanti insegnassero, gli architetti progettassero e così via, senza sovrapposizione di ruoli, cosa che non ha mai portato risultati accettabili.

E´ meglio, come disse Gianni Verga in perfetto dialetto milanese, che ognuno faccia il suo mestiere.