Milano, Scompare anche lo skyline

Lodo Meneghetti, manda un grido d’allarme da Milano (11 dicembre 2003). E’ l’unico a protestare?

 

Da alcuni anni si notavano man mano gli effetti della legge regionale del 1996 cosiddetta "dei sottotetti": riusare quest'ultimi a scopi residenziali per" (oh! le buone intenzioni) "contenere il consumo di territorio" e (qui la presa per i fondelli è dichiarata) per "favorire la messa in opera di interventi tecnologici (non si deve dire tecnici ?) per  il contenimento dei consumi energetici". Ma non bastava, bisognava essere più precisi ai fini dello scempio verso la povera città già da tempo maltrattata attraverso ogni genere di antiurbanistiche e antiarchitetture. Ecco dunque la legge n. 19 del 1999 che, all'art. 6, fa giustizia dei limiti alla violenza posti dal precedente art. 2 e permette, anzi vuole che "gli interventi finalizzati al recupero dei sottotetti" comportino "l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione nonché... modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde". Vale a dire: le case, i palazzi storici possono aumentare di un intero piano, senza nemmeno il pudore di un arretramento (come usava). Il cornicione viene sovrastato da non meno di un metro e mezzo-due o più di muratura a filo con la sottostante; in alto appare un altro cornicione da cui parte il supertetto che, qualora occorra per dimensionare secondo dispendio di ricco spazio-volume i nuovi locali, parte in tromba verso cuspidi norvegesi. Nel fascione ritto appaiono finestrazze, sulla pendenza enormi abbaini come casette unifamiliari o come canili collettivi (talora i piani in più sono due, infatti).
Capisci, Eddy, tu che hai apposto al tuo Fondamenti di urbanistica il sottotitolo La storia e la norma: siamo di fronte a un eccezionale ribaltone del rapporto fra regole e attuazione: si fissavano regole e poteva nascere la nuova realtà dentro il rispetto delle medesime; se non c'era rispetto non c'era nuova realtà; ora si stabilisce, si disegna e si attua la nuova realtà violando la regola preesistente, persino il diritto/dovere per così dire naturale, cioè equo in senso filosofico. Inoltre, nota Maria Cristina Giambruno, "si è consentita la modificazione dello skyline della città e l'aumento della pressione residenziale senza alcun adeguamento degli standard. La legge ha infatti ottenuto la liberalizzazione degli interventi sia in deroga agli indici e ai parametri urbanistici previsti dagli strumenti vigenti sia  alle misure imposte dalla legge regionale n. 51 del 1975" ("ANANKE", n. 37, marzo 2003, p.17). Le migliaia di casi (2000 accertati nel solo 2002, altri 2000-2500 dati per sicuri nel 2003, altre migliaia sommando le realizzazioni degli anni precedenti ai progetti odierni in corso di attuazione) rappresentano l'orribile eppur fresco volto in primo piano, al proscenio, di una Milano che ha tenuto nascosto dietro le quinte un altro volto altrettanto osceno: dico dei 16.000 primi casi di neo-condono emersi appena si è vista l'occasione dell'ennesima sanatoria. Intanto è lontana dalla conclusione la regolarizzazione dell'enorme abusivismo anteriore. Così è, nella Milano capitale economica e non più morale, così è nella Milano orfana delle due classi sociali che ne sostanziavano i vecchi valori: classe operaia e borghesia industriale.
Ricordo bene: vigeva ancora la giunta di sinistra quando sortì la questione dei sottotetti. Un assessore comunista all'edilizia privata, il relativamente giovane Lanzone, lanciò lui lo slogan esclamativo "abitiamo i tetti!". Che l'abbia punito il diavolo dell'architettura! L'intesa, naturalmente, era, e oggi è, abitiamo i sottotetti inabitabili, appunto adeguandoli ecc. ecc. - La sinistra seminò, la destra raccolse.
La legge regionale, domandi tu, non ha trovato la giusta opposizione della cultura architettonica e urbanistica, dei politici avveduti, degli esteti almeno? Ti rispondo no e no e no. Qualcuno di noi del Poli ha cercato di far sentire la voce del dissenso, ma è stato zittito dalla stessa condizione di fatto del doppio potere para-culturale: 1) l'urbanistica postmoderna del famoso documento di tre anni fa orientativo delle azioni giuntiste (Gigi Mazza, per intenderci, e torma di nuova destra urbanistica consenziente: cioè l'urbanistica la fa la verità del mercato, la fanno gli imprenditori e impresari "dinamici", ecc. ecc., già ne ho scritticchiato in qualche parte poco reperibile del sito); 2) l'Ordine professionale degli architetti, e quello degli ingegneri per la parte edile, e quello dei geometri: che hanno evitato, dopo qualche flebile sospiro iniziale degli architetti, disarmato e disarmante, di disturbare con interventi "educativi" i propri iscritti, trepidanti di calarsi come avvoltoi sui bei tegolati tetti milanesi, essendo loro stessi, talvolta, a smuovere il privato inerte o gnucco davanti all'offerta regalizia.
In ogni modo il quadro milanese per recepire pienamente il quale abbiamo dovuto attendere che la materia si solidificasse e si esponesse in pieno al vento, trova figli e figliastri in tutta la Lombardia (logico, se la legge è regionale). So peraltro che norme simili, addirittura uguali, si stanno applicando un po' dappertutto. Quale termine inventare dopo "Malpaese" (Valentini) per designare il disastro ambientale, territoriale, urbano, architettonico, umano maschile e femminile, terraneo, acqueo, aereo della ex Bell'Italia amate sponde?
Basta, salvo ricordarti che l'alta cultura architettonica milanese dell'immediato dopoguerra si scagliò contro i sovralzi ammessi dalla legge sulla ricostruzione per contribuire (si credeva) a risolvere la crisi degli alloggi. Riproduco qui sotto un passo di un mio saggio sulla ricostruzione (ora ripubblicato nel libro che hai ricevuto) in cui mi ricollego a Enrico Griffini e alla sua potente denuncia:

“…Ma il più orrendo disastro milanese è rappresentato dai sovralzi parziali o totali di edifici risparmiati dalla guerra, conseguenza di decadenza morale e civile [...]. All’ordine edilizio della nuova Milano si è sostituito il disordine e il caos”. Un quadro urbanistico di riservata bellezza è stato violentato o deturpato senza rimedio. “Tutto il problema edilizio  è oggi deformato dalla speculazione con abusi di ogni genere a dispetto delle Sovrintendenze, delle leggi, dei decreti. La norma del ‘fatto compiuto’ domina e ispira le varie soluzioni”. Griffini elenca alcune fra le più importanti strade e piazze, come via Vincenzo Monti, piazza Cadorna, piazzale Sempione, corso Concordia, a cui potrei aggiungere una enorme massa di altri casi tutti verificabili oggigiorno e insopportabili a ogni visione  nei nostri obbligati passaggi. Lo sconforto e l’indignazione di Griffini davanti all’allentamento dei tessuti morali che nessuna causa economica delle deturpazioni può giustificare, precipitano in una invettiva che dobbiamo assumere attualmente nel suo valore pedagogico, riconducendola alla cinquantennale storia di rovina edificatoria dell’intero Paese e ulteriormente avanzante: “una licenziosa e babelica febbre costruttiva che conduce questa nostra città a imbruttirsi oltre ogni previsione, perdendo tutta la sua organicità e l’unitaria bellezza formata e difesa dai nostri padri nella pazienza dei secoli”.
(Citazioni letterali: da E.Griffini, Il problema della ricostruzione in Italia con speciale riguardo alla Lombardia, in “Edilizia moderna”, nn. 40-41-42, dicembre 1948, pp.42-52).
P.s.- La quarta parte del libro, Milano e Milanese, può dirtela lunga sulla mia critica ventennale circa la condizione della città amata. E per il punto dell'ultimo minuto ti basti leggere la premessa a questa parte: una specie di invettiva verso l'attuale volto di Milano, quello degli insopportabili modisti, dei commercianti esosi, della giunta insipiente, dello spaventoso disordine dovuto alla schizofrenia di una città spopolata, quanto a residenti effettivi, e aggredita quanto a consumi, a giochi finanziari, a lavori terziari di ogni tipo, seri e no, normali e no, anche oscuri e innominabili. Anche, una specie di rimpianto di "come eravamo".