Dal Corriere della Sera - 16 aprile 2004

 

La polemica sui sottotetti
URBANISTICA E CONTROLLI

 

di MARCO ROMANO

 

La fungaia crescente dei sottotetti inquieta i milanesi, l'assessore Verga è riuscito, utilizzando una recente legge regionale sull'impatto ambientale, a sottoporne i progetti nei siti più delicati alla commissione edilizia, che ne ha bocciati il 70%: ma, poiché in Lombardia il diritto al sopralzo è riconosciuto dalla legge, non può arrivare a un diniego definitivo e cerca piuttosto di avviare un dialogo con i progettisti per trovare soluzioni meno invasive. Poiché i casi sottoposti in questi anni alla commissione sono ormai moltissimi e si è venuta formando una sorta di giurisprudenza (nel senso che molti casi sono ricorrenti e altrettanto lo sono le loro soluzioni) è parso cosa utile farne conoscere le linee generali con qualche conferenza di aggiornamento, programmata all'Urban Center.

In verità quasi nessuno dei dodici componenti della commissione ha un titolo riconoscibile per pretendersi giudice sulla bellezza assoluta, siamo soltanto delle brave persone di varia competenza (architetti, ingegneri, avvocati, geometri, periti edili) tutte soprattutto consapevoli di essere legittimate a rappresentare, in quanto prima di tutto cittadini, il punto di vista estetico della cittadinanza intera.

Da mille anni siamo in Europa cittadini di una città perché abbiamo il possesso di una casa, e la facciata della casa esprime agli altri cittadini il nostro status sociale, che la bellezza delle case contribuisca poi in maniera sostanziale alla bellezza della città era noto da allora, ma solo nel Quattrocento i senesi potranno decidere di smantellare le scale, i ballatoi, i bovindi delle case medievali per rendere la città più bella.

Ma se esiste una regola condivisa della bellezza, perché non controllare addirittura i progetti delle nuove case? Da quel momento i progetti di nuove costruzioni verranno controllati in via preventiva, in tutta Europa, dall'architetto comunale o da una commissione, come a Palermo alla fine del Cinquecento, che chiedono i disegni della nuova casa e i rilievi delle case vicine per verificarne la coerenza. E spesso ci vuole tempo, se a Parigi alla metà del Settecento occorrevano almeno sei mesi per ottenere una licenza edilizia.

Esprimersi nella facciata della propria casa è una manifestazione della libertà individuale, ma la bellezza della città nel suo insieme è a sua volta da secoli in Europa un bene riconosciuto di tutti i cittadini, di ordine superiore a quello del singolo cittadino.

Questo giudizio spetta alla cittadinanza e non agli esperti a giudicare, perché riguarda il rapporto di un singolo manufatto - campo di un committente e del suo architetto - con l'insieme della città, campo del nostro comune sentire. Sicché noi della commissione siamo la vox populi (per questo quasi sempre d'accordo), comuni cittadini ma legittimati ad esprimere il giudizio della civitas .

E' però curioso che alla domanda di maggiore bellezza che emerge dalla città debba rispondere la commissione edilizia e non altrettanto la sfera politica: perché non abolire la legge che consente questa fungaia (o correggerne i termini proteggendo edifici e strade delicati)? perché non rivedere le leggi che consentono, guaio ancora peggiore, nuovi quartieri periferici altrettanto desolati di quelli dei quali ci lamentiamo?