CHIAMAMILANO

Notiziario 121 del 27/10/2004

 

PAESAGGI URBANI/PAESAGGI UMANI
Di Giovanna Franco Repellini

“In Milano si sfugge alla bellezza sigillata di altre città italiane, che spesso è limite, prigione per chi vi dimora; alla perfezione conclusa che talvolta condanna alla sterilità. Qui la bellezza è stimolo; qui ritrovo la libertà di vivere, d’inventare, di inserire anche me stesso in una vicenda incompiuta.”
Guido Piovene

Riflettiamo su una coppia estetica formata dai termini contrapposti locale/internazionale. La modernità e la nostra cultura amano l’originalità e la diversità. Non sempre, però, la diversità è proficua e interessante, a volte non è nemmeno diversa, ma semplicemente discordante. Il problema, in tutti i campi, è come fare per essere al contempo originali ma interni al flusso della cultura mondiale e addirittura promotori di tendenze. Ed ancora, come unire il nostro modo di essere e di operare personale e storico (nazionale e individuale) con le tecniche vincenti, ma spesso standardizzate, del neo movimento moderno. Anche in questo campo dobbiamo trovare una terza via, un maggioritario estetico, che prenda un po’ di qua e di là? Potremmo forse fare come i cinesi che mettono i tetti a pagoda sul grattacieli. Non funziona, la ricetta non esiste, occorre piuttosto puntare con coraggio su tutti i fronti, ovvero valorizzare al massimo la cultura italiana e locale, battersi con forza per ottenere livelli urbani e ambientali di qualità internazionale e infine inventarsi fusioni, ibridazioni, meticciati e anche qualche cosa di completamente nuovo, validamente nuovo. Non c’è una terza via, ma strade intrecciate da percorrere contemporaneamente, all’interno di un progetto generale che deve essere unitario ma tenere conto delle diverse discipline dell’intervento urbano. Il problema, non nuovo, si ripresenta continuamente, ad esempio si pone con i grattacieli della Fiera di Milano e i progetti dell’area Garibaldi-Repubblica, che nei prossimi anni impegneranno molto la nostra città. Progetti e interventi che provocano estatica ammirazione da una parte (finalmente anche da noi la modernità!Finalmente i grandi architetti!) e dall’altra repulsione (cosa centrano con noi? Potrebbero essere a Shangai tali e quali; non c’è personalità milanese). Il gioco delle parti si ripresenta in tutta la sua complessità . Personalmente ritengo che il progetto vincitore della Fiera, (architetti Daniel Libeskind, Arata Isozaki, Zaha Hadid e Pier Paolo Maggiora) abbia delle architetture suggestive, talune affascinanti e significative , come il museo del design e il grattacielo ritorto, ma manchi il legame con la città e quindi il progetto urbanistico. Il parco è poco vivibile, frammentato, nel complesso modesto. Gli edifici per abitazione appaiono come i soliti mega condomini, con un po’ di alberelli attorno, amati soprattutto dalle imprese di costruzione e dai gruppi finanziari. La città compatta europea ha un tessuto stradale continuo che favorisce le relazioni, il lavoro indipendente, le botteghe, l’individualità, molto di più dell’insediamento a condomini isolati, tipico delle aree di hinterland, ancora impostato sullo zoning, che determina un maggiore isolamento sociale oltre a un aspetto che richiama le periferie, anche se di lusso, tipo Milano 2. Sicuramente un buon principio operativo si basa sul portare il centro nelle periferie e non le periferie nel centro.
Altro problema: l’urbanistica partecipata che fine a fatto? Il rapporto con la cittadinanza e le sue istituzioni sembra sempre dominato dal caso, perché a volte è invocato, e guai se non c’è, altre volte scompare. In realtà non c’è caos, ma vige una regola precisa: la partecipazione viene utilizzata solo quando si tratta di opere di scarsa importanza che non hanno alle spalle interessi economici forti, in caso contrario, ovvero tanto più grossi sono i quantitativi di denaro in ballo tanto più tutto l’iter democratico si volatilizza in nome dell’efficienza (di chi?).