Eddyburg
Proposta di legge “Principi in materia di pianificazione del territorio”
Roma 28 giugno 2006

 

Edoardo Salzano, direttore di Eddyburg

Ringrazia tutti i presenti, numerosi nonostante il caldo. Purtroppo ciò che sta succedendo a palazzo Madama impedisce ai senatori di essere presenti, e anche numerosi deputati hanno impegni in aula.

La proposta di legge che oggi viene presentata scaturisce da un’iniziativa sollecitata dalla lunga battaglia condotta contro la proposta di contro-riforma urbanistica a firma dell’onorevole Lupi, fortunatamente non approvata nella scorsa legislatura.

La nuova proposta può essere considerata come liberale, nel significato che a tale parola sarebbe attribuito da Luigi Einaudi, e pienamente in linea con gli orientamenti espressi in sede europea. E’ una legge essenziale: come la Lupi, si occupa solo della pianificazione del territorio. Tra l’altro consente di superare alcuni madornali equivoci ormai dilaganti, il più clamoroso dei quali riguarda i cosiddetti “diritti edificatori”, ossia il fatto che le previsioni dei piani che comportano la facoltà di edificare non possono essere modificate senza “compensare” i proprietari delle aree.

Afferma che alle persone che hanno promosso questo incontro interessa, ancor più delle singole indicazioni dell’articolato normativo, la possibilità che un gruppo di parlamentari, delle diverse componenti dell’Unione, possa fare propria la proposta di legge e sostenerla nel dibattito parlamentare che – spera  - si avvierà nei prossimi mesi.

 

Paolo Berdini, Amici di Eddyburg

Spiega che le motivazioni che hanno portato a predisporre un nuovo testo di legge nascono, come già ricordato da Salzano, dallo scampato pericolo della mancata approvazione del disegno di legge Lupi-Mantini, ma hanno il loro fondamentale riferimento in alcuni passaggi del programma dell’Unione, in particolare dov’esso afferma l’intenzione di “varare una nuova legge quadro per il governo del territorio che operi secondo i seguenti criteri: evitare il consumo di territorio senza prima avere verificato tutte le possibilità di recupero, riutilizzazione e sostituzione”. Tale passaggio riprende chiaramente l’impostazione di alcune leggi regionali, come quella della Toscana: regione che, assieme alla Sardegna, si è distinta per un particolare impegno nel cercare di arrestare il dilagare dell’urbanizzazione.

È comunque indispensabile che lo sforzo delle regioni trovi un riferimento nei principi di competenza dallo Stato, e che, tra questi, il fondamentale, a scala nazionale, sia rappresentato dall’obiettivo di provvedere al contenimento del consumo di suolo.

È  un orientamento che molti altri Stati europei hanno già espresso, tant’è che anche governi di stampo conservatore non lo mettono in dubbio.

La sfida che l’Europa ha intrapreso è quella della rinuncia alla crescita indefinita, in favore della riqualificazione diffusa del patrimonio esistente e della riorganizzazione delle città: esattamente il contrario di quanto avvenuto in Italia nell’ultimo quinquennio. Qui purtroppo si è invece assistito alla progressiva limitazione delle tutele, all’approvazione di una serie di condoni, all’indebolimento del sistema di regole e, soprattutto, ad una stretta sui conti delle amministrazioni locali, le quali, per farli quadrare, per far fronte con gli oneri urbanistici alle esigenze di bilancio, sono diventate sempre più favorevoli al rilascio delle concessioni edilizie.

Anche osservatori moderati come l’editorialista del Corriere della Sera, Francesco Giavazzi, hanno riconosciuto che l’offensiva contro le regole urbanistiche e il contestuale taglio dei trasferimenti, hanno finito col tradursi in un sostegno fortissimo alla rendita immobiliare.

È ben dal 1992 che si è imboccata la strada della deregulation: attraverso i programmi complessi che, tramite accordo di programma, hanno consentito di approvare proposte di ogni genere in variante ai piani regolatori. Sono pertanto ormai quindici anni che si continua a privilegiare la strada di una somma di interventi puntali, così rinunciando a valutare e pianificare in termini generali. E gli effetti sono oggi davanti agli occhi di tutti; nelle città, le condizioni di vita sono peggiorate; non c’è stato alcun miglioramento, nemmeno da un punto di vista funzionale.

Per salvare le città, è quindi necessaria un’inversione di rotta: bisogna puntare al governo pubblico del territorio, comprimere la rendita e cercare di colmare il ritardo rispetto agli altri paesi dell’Europa.

Prima di passare all’illustrazione della legge, si sofferma su un aspetto che ritiene fondamentale, facendo presente che la riforma costituzionale del 2001 – ricorda che è Luigi Scano ad averlo giustamente indicato - produce un’insanabile contraddizione, laddove elenca il governo del territorio assieme a materie che – com’è logico ed evidente – nel medesimo concetto sono in realtà già comprese. Un pasticcio lessicale che ha rafforzato la separazione tra l’urbanistica e le politiche di settore (infrastrutturali, ambientali, e simili) quando – al contrario - sarebbe invece indispensabile provvedere alla ricomposizione delle diverse materie in un stesso governo unitario. È per questo motivo, per dover prender atto di tale impostazione, che si è dunque scelto di riferirsi alla “pianificazione” e non al “governo del territorio”.

Illustra quindi i principi della legge.

Spiega che, come già evidenziato da Salzano, essi si rifanno al pensiero liberale, in particolare laddove si afferma che la titolarità della pianificazione compete alle sole istituzioni pubbliche ed altresì che essa si esercita attraverso atti di pianificazione. Ne consegue che anche per gli accordi di programma vale la regola che essi debbano essere stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione, come peraltro già asserito in un precedente disegno di legge (a firma Lorenzetti e Alborghetti) che si è voluto riprendere e ribadire.

Altri principi sono invece innovativi: è il caso del diritto alla città e all’abitare, sempre più compromesso dall’innalzamento dei valori immobiliari (cresciuti del 70% in soli sette anni, secondo Nomisma e Ance); è il caso della partecipazione sociale, della diffusione delle informazioni e della trasparenza del processo delle decisioni, e, in corrispondenza, dell’ampliamento delle forme di coinvolgimento dei cittadini, così come peraltro  stabilito dalla direttiva europea sulla VAS, che la proposta di legge puntualmente recepisce.

Tocca, infine, la questione dei centri storici che – assieme al paesaggio – rappresentano l’identità culturale del paese. Nella presente fase, caratterizzata da pressioni crescenti volte a modificare l’uso e l’assetto dei centri storici, gli organi preposti alla loro tutela sono sottoposti ad un vero e proprio fuoco di fila. Nella proposta di legge, si prevede per i centri storici una tutela ope legis, affidata a piani urbanistici, da formare d’intesa con le Soprintendenze, secondo quanto peraltro già previsto – e che qui si riprende e sviluppa – da un’iniziativa avanzata dal Ministero dei beni culturali e ambientali nel 1997, e che allora fu bloccata, anche per l’opposizione di esponenti del centro sinistra.

In conclusione, sottolinea come questa proposta di legge intenda accogliere la sollecitazione di Romano Prodi a “costruire un sogno” per l’Italia di domani. Il sogno della proposta è realizzare le condizioni per un paesaggio realmente integro, per città più ordinate e giuste, per centri storici ancora più belli e tutelati nei confronti di ogni possibile manomissione.

 

Paolo Cacciari, deputato, Rifondazione comunista

Esprime, anche a nome del gruppo a cui appartiene, gioia e soddisfazione per la proposta di legge, e dichiara la disponibilità ad attivarsi per ogni iniziativa utile a dare concretezza alle parti del programma dell’Unione richiamate da Berdini.

Giudica estremamente utile la sinergia tra politica e mondo culturale e si pronuncia d’accordo con i contenuti della proposta.

Pone l’accento sul concetto di liberalismo, e sottolinea come esso non vada confuso con liberismo, dal momento che è stata l’ubriacatura liberista a far dimenticare che il suolo è un monopolio naturale e a sottovalutare i limiti del mercato.

Le conseguenze del passaggio dai monopoli pubblici a quelli privati sono ben testimoniate dalla vicenda delle autostrade: persino negli Stati Uniti si è provveduto, introducendo le tasse di scopo, a tagliare le rendite generate dalla realizzazione di infrastrutture, mentre invece da noi, tutti gli incrementi di valore determinati dagli investimenti pubblici, rappresentano a tutti gli effetti, e per intero, solamente un regalo per la rendita immobiliare.

 

Gianni Piatti, Sottosegretario al Ministero dell’ambiente e tutela del territorio, Democratici di sinistra

Considera i livelli abnormi raggiunti dalla crescita urbana, e fa presente come la pianificazione sia diventata flessibile oltre ogni misura, con forme di contrattazione che hanno di fatto annullato ogni visione strategica.

Ritiene che sia perciò necessario ricostruire un giusto equilibrio tra obiettivi strategici e flessibilità, e d’altra parte farsi carico dei problemi derivanti dalla riorganizzazione produttiva avvenuta in molte regioni.

Cita il Nord d’Italia, dove il paesaggio rurale, invaso dalle costruzioni, è sparito nell’indifferenza generale, mentre invece, nel resto Europa, oggi è al centro di significative politiche di valorizzazione.

Ritiene che la VAS possa costituire un’occasione per dotarsi di una vera pianificazione strategica.

 

Mirko Lombardi, responsabile nazionale del territorio, Rifondazione comunista

Afferma che imboccare una strada diversa dal passato è molto difficile, ma tuttavia indispensabile.

È dell’opinione che il territorio debba essere considerato un bene comune, nell’interesse degli uomini ma anche degli altri esseri viventi, e che perciò occorra riprendere il concetto di “fabbisogno”, e supportare solamente le trasformazioni realmente necessarie.

In altri termini: bisogna smettere di guardare con favore a ogni iniziativa, qualsiasi essa sia, solo perché così facendo si spera di ottenere in cambio qualche contributo sociale; è necessario invertire la logica, definire ciò che realmente occorre, puntando su una diversa relazione tra città e territorio circostante, favorendo il cosiddetto “ciclo corto” e le “economie di prossimità” e riducendo pertanto la necessità di spostamento delle merci.

 

Sergio Brenna, Politecnico di Milano

Ricorda che il 1992 è stata la data fatidica in cui il modello milanese – noto come “rito ambrosiano” – ha cominciato ad avere successo, e come non sia un caso che Lupi e Mantini provengano da Milano e che – insieme con l’assessore Verga – rivendichino con orgoglio tale modo di operare.

Sulla base di tale modello, il motore di tutte le trasformazioni è l’investimento immobiliare: stabiliti i soldi che occorrono al promotore, si definiscono i metri cubi che gli assicurano la redditività degli investimenti. Così è accaduto per la Fiera; così per le aree degli scali ferroviari. È una logica perversa, assunta a modello dalla nuova legge regionale lombarda – la LR 12/2005 - che rinuncia completamente alla pianificazione strutturale a favore esclusivo di piani operativi quinquennali, di corto respiro.

Fa presente come sia proprio l’esperienza lombarda a fargli credere che il testo della legge debba ribadire alcuni principi fondamentali, che sono conquiste storiche degli anni ’60 e ’70, e che le leggi regionali non sempre riaffermano: è il caso della cessione gratuita delle aree per attrezzature nei comparti di trasformazione dei piani attuativi, dell’onerosità degli atti abilitativi (messa in crisi dal cambio di denominazione da “concessione” a “permesso di costruire”), della necessità di legare gli oneri di urbanizzazione alle opere da realizzare, destinandoli ad un conto vincolato e non alla copertura della spesa corrente.

Rimarca infine la necessità di censurare ogni tentativo di riduzione degli oneri di urbanizzazione, anche quando giustificato da migliorie ambientali (ad esempio con il ricorso a sistemi alternativi di produzione energetica), come avviene ad esempio in Toscana.

 

Luisa Calimani, Città amica

Rileva a quali livelli di involuzione si sia purtroppo arrivati, e come sia ormai usuale sentirsi dire che la pianificazione non serve, e che i diritti edificatori, una volta acquisiti, grazie alle previsioni di piano, lo sono per sempre. Vede quindi con grande piacere la proposta di legge, e in particolare, lo stabilire che i vincoli espropriativi abbiano una durata di dieci anni e non cinque.

Fa presente la necessità di rivolgere l’attenzione ad un aspetto ben preciso: la necessità di porre un freno all’espansione delle città non deve rischiare di trasformarsi nell’utilizzo di tutti i terreni posti al loro interno; gli spazi verdi del contesto urbano sono forse ancor più preziosi di quelli periurbani.

Riprende infine il tema del rapporto tra pianificazione e governo del territorio. La questione non è di poco conto: o il governo del territorio è determinato dalla banale sommatoria di materie, oppure – come sarebbe giusto – è la funzione che le comprende e le riconduce ad unitarietà. Ritiene pertanto opportuno promuovere una specifica modifica nell’ambito della complessiva revisione costituzionale.

 

Claudio Falasca, CGIL

Esprime la solidarietà della CGIL; è d’accordo sul fatto di muoversi immediatamente, fin dal primo avvio della legislatura, e pensa che la proposta possa costituire una buona base di partenza. Ritiene comunque che l’azione parlamentare non basta, che occorre “alzare il tono”, programmare ulteriori iniziative, rilanciare la discussione in altre sedi, diffondere il più possibile la proposta.

È necessario sì fare chiarezza sulla questione urbanistica/governo del territorio, ma soprattutto mettere in luce che l’Italia è cambiata, che bisogna farsi carico della riorganizzazione produttiva in atto e governare i processi di cambiamento (cita come esempio il problema dell’organizzazione della mobilità, e delle persone e delle merci). È per tali ragioni che pensa che la proposta non debba essere troppo difensiva, ma più aggressiva, e che sia necessario essere molto propositivi e affrontare le questioni di merito. Pone un esempio concreto: il rapporto porti-città, con quali strumenti può essere governato?

Rileva come meriti approfondire alcuni termini, quali ad esempio i concetti di sostenibilità e partecipazione.

La sostenibilità non può essere ricondotta alla sola dimensione ambientale; essa coinvolge, con pari rilevanza, la sfera sociale, economica e istituzionale.

La partecipazione deve essere intesa come parte strutturante: la gestione dei conflitti locali, che sono in continuo aumento, non può essere risolta – a valle – caso mai con il commissariamento. Il coinvolgimento dei cittadini deve esserci ma in ogni caso anche precedere la formulazione delle proposte.

Evidenzia la necessità di spostare l’orizzonte oltre alla contingenza quotidiana, e tornare finalmente  a parlare del futuro.

 

Giuliano Cannata, geologo, territorialista

Sottolinea il carattere decisivo della questione economica. L’economia si è definitivamente slegata dal valor d’uso dei beni prodotti: essa consiste totalmente e solamente in economia di scambio, circolazione di moneta. E cio non succede solo in Italia; cita l’esempio della Spagna, dove l’incremento dei valori immobiliari - favorito da un’incredibile circolazione di moneta, contante e spesso “in nero” - è ancora più accentuato; l’espulsione dei cittadini dal centro delle città è determinata da investimenti finanziari, e altri investimenti finanziari favoriscono la costruzione delle metropolitane che poi - ogni giorno - riportano gli stessi abitanti verso il centro delle metropoli.

Anche la costruzione di capannoni è tutta imputabile a logiche di investimento immobiliare: la produzione si è smaterializzata; ogni operaio produce beni sufficienti per 150 persone; ogni contadino per 170; su 10 persone solo 3 producono beni, gli altri scambiano informazioni. Perchè dunque costruire capannoni a questo ritmo? Il motivo sta nel fatto che direttamente o indirettamente la costruzione è pagata da contributi pubblici.

Infine, il territorio non urbano. La trasformazione, in questi ultimi anni, è stata qui ancora più radicale: in poco tempo, grazie all’abbandono delle coltivazioni, la superficie boscata è cresciuta di ben il 37%; il fenomeno è così imponente che persino il ciclo dell’acqua si è modificato (aumenta l’assorbimento vegetale e si riduce l’apporto ai fiumi, che si stanno seccando). Si pone quindi la domanda: che fare, dunque, del territorio agro-forestale?

 

Roberto Camagni, Politecnico di Milano

Rileva come la convergenza ideale registratasi negli incontri della Fabbrica del programma non si sia poi traslata per intero nel programma dell’Unione: alla città è stata dedicata una sola pagina e mezzo. I problemi relativi al territorio sono ampiamente sottovalutati. Sul consumo di suolo, per esempio, non si possiedono nemmeno le conoscenze più elementari: salvo poche eccezioni, non c’è nessuno che lo rilevi, nessuno che lo controlli; al contrario, esso dovrebbe figurare tra le linee guida nazionali.

Concorda sul fatto che la finanziarizzazione dell’economia, la crescente mole di investimenti in real estate, favorita da norme sempre più leggere e permissive, rappresenti uno dei nodi principali che ci si trova a dover sciogliere.

Ricorda come oggi la grande liquidità presente sui mercati, cui si accompagna in Italia un’elevata propensione al risparmio, si riversi in gran parte sul mercato immobiliare, e a un punto tale da rendere conveniente tenere i prezzi alti, pur determinando forti quote di invenduto.

Fa presente come qualsiasi legge sia destinata al fallimento se non si riforma la finanza locale, ma che invece molto possa essere fatto per correggere le tendenze spontaneistiche. Cita l’esempio della Francia, dove la legge sull’intercomunalità consente per l’appunto ai Comuni di condividere gli introiti: ne consegue che i sindaci, potendo comunque fruire delle quote condivise, sono meno interessati ad attirare nuove costruzioni nel proprio territorio. Anche in Italia si stanno promuovendo forme volontarie di accordo intercomunale, ma qui in mancanza di riferimenti legislativi.

Sottolinea infine come la proposta presentata sia una riforma liberale, e senso più vero: esiste infatti un interesse collettivo per la qualità e l’efficienza che non può essere soddisfatto dal mercato, destinato inevitabilmente a fallire, come allocatore di risorse, in presenza di beni pubblici, esternalità ed effetti di rete.

Occorre dunque affidare alla pianificazione il compito di definire le regole complessive e il complesso di valutazioni entro i quali ricondurre le forme di flessibilità e negoziazione, e inoltre valutare con maggiore rigore sia gli effettivi benefici finanziari privati che si vanno a produrre che nondimeno gli impatti e costi collettivi.

Punta l’attenzione su quanto sia oggi necessaria la valutazione d’impatto con riferimento al sistema della mobilità: negli altri paesi europei, come ad esempio a Barcellona per l’intervento di Nouvel, è entrata ormai nell’uso corrente. In Italia non viene mai fatta.

 

Maurizio Acerbo, deputato, vicepresidente Commissione Territorio e ambiente, Rifondazione comunista

Informa di arrivare dalla Camera dei deputati dove (come al Senato) sono in corso votazioni importanti che impediscono ai parlamentari di assentirsi per partecipare all’iniziativa.

Promette di offrire il suo impegno per portare avanti la proposta e dichiara di condividerne i contenuti: ha avuto personalmente modo di constatare – nel territorio di Pescara, sua città – gli effetti negativi della deregulation e di programmi complessi come il PRUSST, attraverso il quale sono stati consentiti molteplici interventi privati, tutti in zona agricola e in variante al PRG.

Fa presente come una cattiva ideologia sia stata promossa e diffusa da molti professori universitari, e come questa abbia incontrato il favore di politici ignoranti, ma sempre bendisposti di fronte all’attivazione di investimenti ingenti, anche perché portatori di risorse per le loro campagne elettorali. Ritiene perciò che la deregulation rappresenti un aspetto particolare della questione etica nel suo complesso.

Pur riconoscendo che il programma dell’Unione contiene affermazioni importanti, rileva come esse non bastino, che è necessario un impegno continuo, che le pressioni dalle lobby dei privatizzatori non sono cessate.

Giudica emblematico ciò che emerge dalla vicenda ANAS: miliardi di investimenti mai fatti e, dall’altra parte, l’impotenza dello Stato per non aver posto alcuna clausola per potersi rivalere. Nei comuni va ancor peggio: solo attivando movimenti e forze sane, sarà possibile far sì che le questioni affrontate dalla proposta di legge vengano effettivamente assunte come prioritarie.

Fa notare che gli accordi di programma sono ormai visti come panacea per i bilanci locali e che la privatizzazione ha toccato settori, fino a poco tempo fa, impensabili: oggi, con i project financing, ai privati vengono dati persino i cimiteri!

 

Giacomo Fontana, Direttivo nazionale di Legambiente

Sottolinea come in questo momento il rischio sia duplice: da un lato è probabile che la proposta Lupi-Mantini venga ripresa, dall’altro – il che è ancor peggio - che cali il silenzio sull’intera questione urbanistica.

Riprende alcune questioni già sollevate.

Pianificazione e governo del territorio: il prezzo della loro crescente separazione è stato pagato dal territorio. Capisce i motivi della scelta operata nella proposta di legge, ma ritiene che l’argomento non possa essere trascurato.

A prova del profondo legame tra difesa del suolo e scelte urbanistiche, cita l’episodio della frana di Scilla, che ha investito delle costruzioni abusive, e non – ma solo per puro caso - un intero quartiere, edificato regolarmente, ma comunque posto in un’area altrettanto pericolosa.

Anche nel settore dell’energia si è assistito ad una frammentazione delle decisioni e ad esiti che hanno prodotto non poche discussioni, anche all’interno del mondo ambientalista: fa l’esempio delle pale eoliche, collocabili a libera scelta dell’iniziativa privata, mentre è evidente che sono i piani che dovrebbero occuparsene.

Evidenzia, infine, aspetti della proposta che trova particolarmente positivi o viceversa critici.

Tra i primi cita: l’aver affermato il primato della pianificazione; l’aver recepito lo strumento della VAS (mentre, ad es., la legge sicilana ha sancito che la VAS non va applicata ai PRG ed essa pertanto è stata presa in considerazione ma in negativo, per escluderne l’utilizzo); l’aver assunto il principio del diritto alla città e all’abitare; l’aver determinato un rapporto equilibrato tra perequazione e ricorso all’esproprio.

Tra i contenuti che ritiene invece doversi perfezionare e rafforzare – soprattutto in relazione al Meridione – individua:
- la necessità di porre un divieto esplicito al finanziamento di programmi costruttivi in deroga ai PRG (succede che, quando un finanziamento è attivato, nessuno poi si oppone all’intervento, e che si modifichino tranquillamente i piani, per consentirne la realizzazione);
- l’esigenza di rendere più stringente il concetto di fabbisogno; in Sicilia – nella Conca d’Oro – solo il 15% del suolo è ancora libero da costruzioni ed è in atto una corsa tra quelli che vogliono accaparrarsi, con ogni possibile iniziativa, quel poco che è rimasto; basti pensare ai centri commerciali, che in Sicilia sorgono “a iosa”; a che servono? è giusto sacrificare in loro nome il poco terreno ancora rimasto in un’area come per l’appunto la Conca d’Oro? Non è solo la mafia a premere per costruire; se, come avviene, le richieste provengono dalle COOP, sono accettabili?

Occorre inoltre vietare ogni forma estesa di sanatoria delle costruzioni abusive: ad Agrigento, il nuovo PRG ha pensato bene di classificare come zone edificabili lottizzazioni abusive; a Palermo si vuole fare lo stesso con la lottizzazione di Pizzo Sella (uno dei più clamorosi casi di abusivismo, un’intera collina urbanizzata in assenza di piano, con la realizzazione di una settantina di ville ndr) e regolarizzare con il nuovo piano i danni del passato. E l’obiettivo finale, anziché procedere con la demolizione e la messa in pristino, è paradossalmente quello di restituire le case abusive, oggi acquisite al patrimonio pubblico, a coloro che le avevano acquistate al momento dell’abuso! Tutto ciò deve essere impedito.

 

Edoardo Salzano

Ringrazia tutti coloro che sono intervenuti. I loro contributi positivi aiuteranno a sviluppare il lavoro. Esprime il rammarico per l’assenza di molti senatori e deputati, che avevano assicurato il loro appoggio alle nostre proposte, dovuta all’andamento dei lavori parlamentari; ci sarà modo per recuperare.

Sostiene che nel merito delle questioni sia necessario lavorare su tre piani distinti, sebbene tra loro strettamente connessi

In primo luogo, sul terreno specifico di questa legge che è stata presentata. Nel merito delle proposte avanzate non sembra vi siano state obiezioni o riserve: si è criticato quello che non c’è, non il contenuto della proposta. E’ massima l’urgenza di presentare comunque un testo in Parlamento, perché la discussione si apra su di esso. Naturalmente, mentre i parlamentari procedono nel loro lavoro, ai promotori della proposta è richiesto di lavorare su quelle integrazioni che sono state proposte (per esempio, da Sandro Brenna), che possono trovare spazio in una legge sulla pianificazione. Nel corso del dibattito parlamentare non mancheranno né l’occasione né il luogo per proporle al legislatore.

In secondo luogo ritiene che vadano raccolte le osservazioni di quanti hanno sottolineato i nessi della pianificazione con le altre componenti del governo del territorio: la finanza locale e, più in generale, le strutture istituzionali e funzionali del potere pubblico; le grandi scelte di merito e  le strategie sull’assetto del territorio (ricorda che la definizione dei “lineamenti fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” spetta allo Stato); le strategie della politica energetica e della politica dell’ambiente. Stimolare una riflessione, aprire un dibattito, formulare delle proposte su questi temi, ricordarne sistematicamente le connessioni con la pianificazione del territorio gli sembra che sia cosa non solo utile, ma necessaria.

In terzo luogo, infine, rileva che dalla discussione sia emersa l’esigenza di precisare e articolare maggiormente le proposte. Ritiene che ciò sia del tutto ragionevole, ma osserva che occorre farlo tenendo conto che su questo terreno lo Stato non può legiferare troppo nel dettaglio senza entrare in conflitto con il legislatore regionale. A livello nazionale si possono tuttavia fornire suggerimenti, indicazioni, prospettare soluzioni anche alternative per tradurre i principi (che sono certamente di competenza statale) in atti amministrativi con essi coerenti.

Tutto ciò richiede un grande impegno, da parte di molti. Proverà a raccogliere la richiesta, formulata all’inizio da Paolo Cacciari, di aprire un dibattito sui temi della proposta di legge, mediante la costituzione di un forum su www.eddyburg.it . Ne verificherà la possibilità tecnica, e soprattutto la disponibilità di qualche persona di buona volontà ad aiutarlo in questo.

Conclude ringraziando di nuovo tutti i presenti, e soprattutto Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini che hanno dato avvio al lavoro sulla proposta di legge. Sono i “tre porcellini” raffigurati nell’icona che su eddyburg segnala i testi sulla proposta di legge sulla pianificazione: i tre porcellini sono l’antitesi del Big Bad Wolf, del “lupo cattivo”, che ha costituito per noi l’effige della legge Lupi.