CONVEGNO

LA CITTA' PROGETTO

 

 

 

 

Relazione

 

 Gianfranco Pavan, Vicepresidente Ance

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma, 28 Aprile 2004

 

-         Con il convegno di oggi l'Ance intende portare all'attenzione della politica, degli enti locali, della cultura e della pubblica opinione l'esistenza di una nuova "questione urbana".

 

-         Un'emergenza che nasce dalla crescente inadeguatezza delle nostre città a svolgere bene il proprio ruolo in un contesto economico e sociale profondamente mutato.

 

-         Radicali trasformazioni nei modi della produzione stanno portando a un lento ma inevitabile declino i sistemi e le produzioni tradizionali.

 

-         Questo si traduce, come è stato recentemente ribadito anche a livello europeo, nella necessità di cominciare a investire di più a livello nazionale nella ricerca, nelle alte tecnologie, nell'istruzione e nella formazione.

 

-         Tutte attività che, nel nostro come negli altri paesi, trovano la loro collocazione naturale nelle città.

 

-         Sono le città gli incubatori privilegiati della formazione, della ricerca e dell'innovazione.

 

-         Ed è questo tipo di attività che oggi le città italiane devono non solo ospitare, ma anche promuovere e attrarre, imparando a coniugare i nuovi ruoli alle funzioni tradizionali.

 

-         L'Europa che conta è fatta di grandi città, rimodellate e trasformate per consentire loro di svolgere un ruolo trainante, di cervello e di motore, nei confronti della macchina-paese.

 

-         Ed è per questo che oggi in Italia è urgente richiamare l'attenzione del mondo politico, della cultura e dell'impresa sull'affermarsi di una nuova "questione urbana", che deve acquistare una centralità pari se non superiore a quella acquisita dalla modernizzazione infrastrutturale del nostro Paese.

 

-         Bisogna ripensare nella loro globalità  le logiche del governo del territorio, fino ad oggi intralciato da un sistema caratterizzato dal   groviglio delle norme e dalla mancanza di flessibilità.

 

-         Il metodo quantitativo della pianificazione ci ha indotti a considerare l'intervento in termini di metri cubi, trascurando la sua collocazione.

 

-         La strada seguita per sfuggire ai vincoli di questo farraginoso sistema è stata il  ricorso alle deroghe, che ha portato a una crescita urbana per addizioni successive.

 

-         Ciò ha causato la formazione di città spontanee, senza guida.

 

-         Città in cui sono mancati e mancano i progetti, le risorse e anche i poteri per riorientare funzioni e vocazioni.

 

-         A ciò va aggiunta la stratificazione di problemi decennali e mai risolti e l'insorgere di nuove e continue emergenze che hanno provocato l'aggravarsi del gap con le città europee nostre dirette competitrici in termini di efficienza delle reti e di attrattività dei territori.

 

-         Non è un caso, del resto, se le nostre metropoli continuano a perdere residenti a vantaggio dei comuni circostanti.

 

-         Negli ultimi venti anni quasi due milioni di persone hanno scelto di "scappare" dalle città, spinte dagli alti costi e dalle inefficienze che rendono poco attraenti i territori urbani.

 

-         Ma a questa emorragia di abitanti ha paradossalmente fatto da contrappeso una potente iniezione di nuovi utenti che anziché indebolire hanno moltiplicato la domanda di servizi e infrastrutture che pesa sulle città.

 

-         Domanda di fronte alla quale le strutture urbane si sono  trovate ancora una volta impreparate, a causa non solo della storica insufficienza delle infrastrutture, ma anche della carente organizzazione del sistema della mobilità, spesso incapace di "fare rete" tra i differenti modi di trasporto.

 

-         Nello stesso tempo è diventata sempre più pressante, sul piano urbanistico come su quello sociale, l'esigenza di ricucire le città con le loro periferie.

 

-         E' proprio nelle periferie, troppo spesso male infrastrutturate se non addirittura degradate, che vive oltre il 76% della popolazione urbana.

 

-         Si tratta di problemi importanti. Di ferite aperte nei tessuti urbani che lacerano e spesso azzerano l'efficienza di questi organismi sotto molti aspetti invece vitali.

 

-         Queste ferite vanno curate e, per farlo, occorre riconoscere la centralità della "questione urbana" come questione nazionale.

 

-         E’ necessario agire alla stregua di quanto avviene o è avvenuto per tutte le altre grandi “questioni” nazionali: da quella del Mezzogiorno a quella delle grandi reti infrastrutturali, a quella della politica industriale.

 

-         In altre parole sono necessarie scelte "forti", scelte che richiedono una ampia condivisione sia sul piano degli obiettivi che su quello delle misure da adottare per ottenerli.

 

-         Ed è proprio per questo motivo che l'Ance ha chiamato oggi i responsabili delle decisioni in ambito urbano, i sindaci e la politica: per presentare alcune proposte che potrebbero, se non risolvere, quanto meno avvicinare la soluzione della nuova "emergenza città".

 

-         La prima proposta riguarda le risorse.

 

-         La "questione urbana” non può essere affrontata solo con risorse provenienti dalle Casse degli Enti locali.

 

-         Per il rinnovamento delle nostre città sono necessarie risorse statali.

 

-         Naturalmente si pone un non semplice problema di disponibilità e reperibilità dei fondi da destinare a questo nuovo importante impegno.

 

-         Tuttavia di fronte al riconoscimento  dell’esistenza di una non rimandabile urgenza, sta alla classe politica individuare le forme per reperire le risorse necessarie.

 

-         Una strada efficace, in questo senso, potrebbe essere quella di varare una legge obiettivo per la modernizzazione urbana.

 

-         Una corsia preferenziale, analoga a quella inaugurata per le grandi infrastrutture, che consenta a chi può e deve prendere le decisioni di contare su risorse certe e su snellimenti burocratici, necessari per superare l'impasse dei veti incrociati e degli interessi corporativi.

 

-         Altrettanto necessario è rendere più efficiente l'attuale assetto istituzionale, partendo dal riconoscimento che oggi il potere dei Sindaci è soggetto a troppi vincoli e a troppi condizionamenti che impediscono l'avvio di politiche effettive di rilancio delle città.

 

-         I sindaci devono invece diventare a tutti gli effetti i "governatori" delle metropoli, e perché questo possa accadere devono essere ridisegnati e riequilibrati a livello istituzionale i poteri di intervento sul territorio oggi suddivisi in modo inefficace e pletorico tra Regioni, Province e Comuni.

 

-         E' necessario, insomma, dare con pienezza ai Sindaci un potere di decisione e di programmazione che non può essere demandato o condiviso con altre amministrazioni.

 

-         Tuttavia questo potere va accompagnato da nuovi strumenti, che consentano a chi governa le metropoli di disegnare efficacemente le direzioni e le strategie dello sviluppo urbano.

 

-         E’ evidente infatti che il rinnovamento urbano impone ai Sindaci di svolgere un ruolo più alto e più complesso di comprensione delle esigenze e di lettura delle vocazioni degli organismi metropolitani.

 

-         Su questo fronte va comunque riconosciuto che qualcosa si sta muovendo.

 

-         In molte città italiane, stanno partendo nuovi e interessanti progetti di trasformazione che sembrano mostrare la fine di un immobilismo culturale e amministrativo che per decenni ha paralizzato le scelte.

 

-         Tuttavia questa nuova e importante apertura al cambiamento ancora non basta.

 

-         Le trasformazioni in ambito urbano devono superare la dimensione episodica e diventare il frutto di una complessiva analisi strategica economico-culturale, e insieme di un benchmarking dell'efficienza e della produttività urbana.

 

-         Un aspetto quest'ultimo sul quale gli imprenditori delle costruzioni mettono a disposizione dei sindaci e a servizio dell'interesse collettivo la loro conoscenza delle dinamiche e delle esigenze del territorio, proponendosi come interlocutori imprenditoriali nella analisi delle trasformazioni e delle esigenze urbane.

 

-         E, del resto, i risultati dell’indagine Makno fatta predisporre dall’Ance proprio per questo convegno, ci confortano sulla correttezza della nostra visione delle dinamiche e delle esigenze delle città italiane.

 

-         I circa 40 opinion makers intervistati hanno infatti condiviso le tesi e le proposte dell’Ance sulle carenze da superare e sulle strade da imboccare per il rilancio urbano.

 

-         E’ innegabile, infatti, che ogni politica di riqualificazione urbana deve dipendere dalla definizione delle priorità e quindi dalla conoscenza dei “bisogni” delle città che debbono essere soddisfatti.

 

-         In questo campo nel nostro Paese si registra un grande ritardo.

 

-         La circostanza che l’Italia sia il Paese delle “100 città” rende il compito ancora più arduo.

 

-         Ma non si può attendere oltre.

 

-         Oggi non è più sufficiente parlare genericamente di “maggiore efficienza del tessuto urbano”.

 

-         Come non è sufficiente - seppure ovviamente oltremodo necessario - garantire ai cittadini servizi efficienti ed una residenza di qualità.

 

-         Per capire quale ruolo la città può assolvere nella competizione globale occorre capire quali sono le sue vocazioni primarie, le sue tipicità, i suoi “valori aggiunti” grazie ai quali si determina a suo favore un vantaggio “competitivo” importante rispetto ad altri sistemi urbani.

 

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-         Ma accanto alle scelte di ordine politico, istituzionale e finanziario, il rilancio dei sistemi urbani non può prescindere nell'immediato da una serie articolata di interventi su fronti diversi: dal mercato, alla fiscalità, al governo del territorio.

 

-         L'urgenza non rimandabile di ricucire gli strappi nel territorio urbano provocati dalla crescita disordinata delle periferie negli ultimi decenni, deve essere in grado di mettere in moto un processo di "rigenerazione urbana" che faccio perno su progetti capaci di raccogliere risorse presso gli investitori privati.

 

-         Si tratta di un processo necessario che non può che essere fondato sulla capacità delle pubbliche amministrazioni di offrire certezza dei processi e di garantire il corretto sviluppo del mercato.

 

-         La strada da percorrere per ottenere questo risultato è quella di un coinvolgimento dei soggetti privati che punti a valorizzare le capacità progettuali e industriali e non solo quelle finanziarie.

 

-         Solo così sarà infatti possibile dare risposte adeguate alle esigenze del territorio, stimolando nello stesso tempo la crescita di un'offerta di qualità.

 

-         Con tale confronto aperto e approfondito su progetti e capacità industriali è infatti lo strumento più efficace per le operazioni complesse che la trasformazione urbana richiede (come stanno dimostrando alcune esperienze milanesi), mentre altre soluzioni come le società miste pubblico-private non offrono la stessa chiarezza e trasparenza.

 

-         Nel grande capitolo delle esigenze insoddisfatte non si può non accennare al problema delle case in affitto, la cui insufficienza rappresenta una vera e propria emergenza in molte città italiane.

 

-         Il nostro paese, del resto, si colloca agli ultimi posti sul fronte delle locazioni rispetto agli altri paesi europei: da noi la percentuale di famiglie che vive in affitto è pari al 19% contro il 60% della Germania, il 42% della Francia, il 41% dell'Austria.

 

-         Attualmente le abitazioni in affitto in Italia sono circa 5 milioni, pari a meno del 20% del totale.

 

-         Cifre che sono certamente dovute alla ampia diffusione della proprietà edilizia nel nostro paese (circa l'80% dei nostri connazionali è proprietario della casa in cui abita).

 

-         Tuttavia la scarsa offerta di abitazioni da dare in affitto a canoni agevolati rappresenta un handicap rispetto all'esigenza di dare risposte alla nuova e forte domanda di case in locazione che  nasce sia dalle fasce deboli della popolazione sia dall'aumento  delle esigenze di mobilità.

 

-         Per le famiglie a basso reddito l'accesso alla locazione è inoltre reso più pesante dalla bassa disponibilità di abitazioni di edilizia residenziale pubblica (edilizia sovvenzionata ed agevolata in locazione).

 

-         Secondo dati Federcasa in Italia si contano 5 abitazioni sociali in locazione per 100 nuclei familiari, contro una media europea di 16.

 

-          Le assegnazioni di alloggi di edilizia sovvenzionata soddisfano solo l'8% della domanda.

 

-         E' necessario quindi uno sforzo collegiale di tutti gli attori coinvolti per dare risposte a una domanda che ha una chiara connotazione sociale.

 

-         Bisogna mettere a punto una soluzione articolata, basata sul confronto con il mercato, che impone la definizione di nuovi programmi per la costruzione di alloggi da dare in affitto a prezzi contenuti, immaginando strumenti che rendano economicamente sostenibile l'intervento.

 

-         L’intervento pubblico potrebbe, ad esempio, inserirsi all’interno di progetti complessi, prevedendo l’utilizzo di contributi per le abitazioni realizzate all'interno del progetto e offerte in affitto a canoni concordati, accanto ad alloggi in affitto e vendita a costi in linea con quelli di mercato.

 

-         Si tratta, quindi,  di  concepire un intervento edilizio arricchito delle funzioni legate alla gestione per dare ai cittadini un quartiere vivo, realizzato con un progetto unitario.

 

-         Occorre inoltre predisporre strumenti che stimolino i privati ad aumentare l'offerta di case in affitto, sia attraverso una riforma della normativa fiscale, sia tramite l'introduzione di strumenti che tutelino maggiormente il proprietario.

 

-         In altre parole, per risolvere il problema degli affitti nel nostro paese, bisogna prima di tutto procedere alla depenalizzazione” dell’investimento immobiliare.

 

-         Ma, nell’ottica del rilancio e del riassetto del territorio urbano, è necessario ripensare a fondo il ruolo della fiscalità, che deve essere riformata per poter diventare strumento di sviluppo.

 

-         Una riforma complessiva che dovrebbe essere mirata in primo luogo ad affermare la stretta connessione che esiste tra fiscalità e territorio.

 

-         E' per questo che noi chiediamo al legislatore statale un regime fiscale "riservato" alla riqualificazione delle città.

 

-         Anche sul fronte dell'urbanistica le scelte vanno orientate in funzione di una sinergia tra pubblico e privato che miri a rispondere alle esigenze emergenti puntando al mercato.

 

-         Si deve passare in altre parole da una urbanistica formalmente garantista ad un metodo che punti alla responsabilità di tutti gli attori ricorrendo principalmente a forme di concorrenzialità che portino a contratti di progetto.

 

-         Ci aspettiamo quindi che il rapporto tra piano urbanistico e pianificazione di settore sia basato sull'integrazione.

 

-         Troppo spesso, infatti, abbiamo subito il veto alla realizzazione di interventi, legittimati dal piano regolatore generale, a causa dell'esistenza di un inaspettato vincolo di settore.

 

-         Una mancanza di coordinamento, questa, causata da un lato dalla volontà degli enti preposti alla tutela dei vari interessi di mantenere la propria rendita di posizione, dall'altro dall'assenza di una norma che obbligasse appunto all'integrazione tra i piani.

 

-         E' per questo che ci sentiamo di dire "no" ad un piano regolatore che sia limitato alla  funzione di contenitore passivo delle disposizioni di settore.

 

-         Come per la città del futuro si invocano integrazione e coordinamento, così per la gestione del territorio è necessario che la contrattazione istituzionale delle politiche preceda qualunque tipo di pianificazione.

 

-         Soltanto assicurando la collaborazione tra enti e poi il consenso dei destinatari, si potrà arrivare infatti ad una pianificazione attuabile in tempi certi, che dia soprattutto valore aggiunto al territorio.

 

-         Ma vorrei chiarire un aspetto fondamentale: le politiche consensuali del territorio non sottintendono la privatizzazione dell'urbanistica.

 

-         Nessuno, infatti, intende sollevare la potestà pubblica dalla funzione pianificatoria.

-         Anzi, proprio all'amministrazione è riservata la fissazione dei caratteri minimi della città pubblica, in termini di direttrici dello sviluppo, dotazioni infrastrutturali e servizi.

 

-         Ma, oggi più che mai, diventa urgente, oltre che necessaria, una chiara definizione di regole e competenze.

 

-         E' questo il presupposto per l'applicazione dei tre modelli di gestione del territorio, che rappresentano il vero futuro dell'urbanistica.

 

-         Si tratta della perequazione, della compensazione e della  premialità.

 

-         Meccanismi che, attraverso lo scambio di diritti edificatori ovvero il riconoscimento di volumetria aggiuntiva a fronte della dotazione di ulteriori servizi, permettono una più rapida attuazione delle previsioni di piano compensando, nella maggior parte dei casi, la mancata disponibilità economica che finora ha frenato  gli obiettivi urbanistici.

 

 

*****

 

-         A conclusione di questo mio intervento non posso che ribadire quanto affermato all'inizio.

 

-         Bisogna operare tutti insieme, con il consenso dei Sindaci e della classe politica e con la consapevolezza della pubblica opinione, per restituire alle nostre città un ruolo alto e imprescindibile a cui oggi meno che mai è possibile rinunciare.

 

-         A questo scopo vanno mobilitate tutte le risorse necessarie, sia sul piano finanziario che su quello culturale e legislativo.

 

-         L'alternativa a questa scelta sarebbe non solo rinunciare ad avere nelle città la vera anima economica, sociale e intellettuale del paese, ma anche destinarle ad un probabile declino.

 

-         Mi auguro, e con questo concludo, che dal dibattito e dal confronto che seguiranno il mio intervento emergerà la necessaria condivisione di obiettivi e strumenti dai quali in gran parte dipende la capacità del nostro paese di affrontare le tante sfide che ci riservano i prossimi anni.